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Nov 27

Rubrica e suggerimenti – di Marco Sanna –

SUGGERIMENTI 

ACIDO LATTICO  O  ACIDOSI  LATTICA: condizione del muscolo che, in seguito a sollecitazioni intense, lavora in insufficienza di ossigeno, producendo quantità di acido lattico superiori alle capacità di smaltimento.

AEROBICA, ATIVITA’ : attività aerobica che stimola la capacità del sistema cardiovascolare di distribuire l’ossigeno ai muscoli  impegnati nel lavoro. L’ossigeno è indispensabile per sprigionare energia dalle riserve di grasso, glicogeno e zuccheri dell’organismo. Nella corsa a bassa intensità (corsa lunga e media) il carburante necessario è l’ossigeno.

ALLENAMENTO: processo pedagogico – educativo complesso che si concretizza nell’organizzazione dell’esercizio fisico ripetuto in quantità, intensità, forma e gradi di difficoltà tali da sollecitare e consolidare l’assimilazione di abilità (generali e specifiche)sempre più complesse ed efficaci. L’allenamento così organizzato stimolerà i processi fisiologici di supercompensazione dell’organismo e quindi le capacità fisiche,psichiche, tecniche, tattiche e coordinative,  al fine di esaltarne e consolidarne il rendimento in gara.

ANAEROBICA, ATTIVITA’: attività fisica di intensità tale da rendere insufficiente l’energia aerobica nella resintesi dell’ATP per  cui la restante  quota di energia necessaria deriva da una serie di reazioni biochimiche riguardanti le riserve di fosfocreatina, di zucchero e di grasso del muscolo. In fare anaerobica  vengono prodotte scorie acide (acido lattico) che contribuiscono a limitare o addirittura, a bloccare l’attività dei muscoli (gambe dure e dolenti). Pertanto, gli esercizi anaerobici possono essere eseguiti solo per breve durata.

ANAEROBICA ALATTACIDA, ATTIVITA: attività fisica di intensità (potenza muscolare) massima o pressoché massima sostenuta dalla scissione delle molecole di fosfocreatina che liberano energia utile per la resintesi  dell’ ATP. Se l’attività è ad un impegno massimale, la fosfocreatina può sostenere la resintesi dell’ATP per 7/10”, se l’attività e sottomassimale tale durata può essere di molto superiore.

ANAEROBICA LATTACIDA, ATTIVITA’:  attività fisica di intensità (potenza muscolare) elevata e di durata superiore a10”, sostenuta dalla glicolisi anaerobica  che libera energia utile per la resintesi dell’ATP. L’energia anaerobica lattacida è strettamente compenetrata con quella alattacida di cui rappresenta il supporto principale .

ATP: sigla  usata per indicare l’acido adenosintrifosforico che è il composto direttamente  responsabile della contrazione muscolare.

ALLENAMENTI PER RESISTENZA AEROBICA:  gli allenamenti utili per migliorare la R.Aer sono  quelli  a bassa intensità e che devono durare a lungo. Con la r.aer definita come resistenza di base  o generale migliorano i fattori fisiologici che stanno alla base  delle prestazioni di resistenza: efficienza cardiaca, respiratoria,  metabolismo energetico, regolazione del processo termoregolazione e capillarizzazione.

CAPACITA’ AEROBICA: rispetto alla rae, la capacità aerobica  si colloca a un livello superiore  e rappresenta quindi uno stimolo  che qualifica il livello di resistenza. Gli allenamenti che migliorano la cap. aer  sono: la corsa media, la corsa in progressione, il corto veloce. L’ allenamento per  la cap. aer.  migliora l’efficienza dei muscoli per l’utilizzo dell’ossigeno, nell’impiego degli acidi grassi; inoltre  aumenta la produzione dei mitocondri, le “centraline”dei muscoli fondamentali per la produzione di energia a livello aerobico.

POTENZA AEROBICA: è un livello d’impegno fisico piuttosto sostenuto e che arriva fino alla soglia anaerobica, quindi al limite del meccanismo aerobico. Ci  si riferisce alla pot. Aerobica per indicare la cilindrata del motore aerobico di un podista. Gli  allenamenti che migliorano la pot. Aerobica  sono sì quelli che rientrano nel metodo della corsa continua veloce ma ancor di più proficui sono quelli definiti intervallati, e in modo particolare le ripetute  lunghe (3,4 e anche5 KM)

SOGLIA ANAEROBICA:  rappresenta l’intensità di corsa che segna il confine tra il meccanismo aerobico e anaerobico, e quindi il momento in cui nei muscoli inizia ad accumularsi l’acido lattico.

Le sedute per migliorare la soglia anaerobica sono quelle delle ripetute brevi 1000 mt e lunghe 2-3000 mt .

FIBRE ROSSE:  =  sono le fibre resistenti

FIBRE BIANCHE:  = sono le fibre veloci

CAPACITA’ ANAEROBICA: ci si riferisce a questo meccanismo per indicare la tenuta ad andature elevate, alle quali i muscoli progressivamente accumulano sempre più  acido lattico. Le sedute utili per migliorare questo aspetto tecnico sono le ripetute medie 600 mt e 1km, e brevi   200-500 mt. Per sviluppare  questa qualità anaerobica non serve correre necessariamente veloce, ma si può agire  sul recupero tra le prove ripetute in modo che non ci sia  il tempo per far uscire l’acido lattico dalle fibre muscolari che l’hanno prodotto.

POTENZA ANAEROBICA: Indica la capacità di sostenere  uno sforzo piuttosto elevato ma limitato solo per qualche decina di secondi 100 e 200 mt per atleti evoluti. Ciò determina una considerevole produzione di acido lattico. I mezzi  di allenamento utili a incrementare la potenza  anaerobica  sono le ripetute corte 60 – 80 mt  molto veloci . Il  recupero tra le prove deve essere ampio.

LA PRIMA CORSA 

Chi inizia a correre e non ha mai praticato attività sportive o chi ricomincia a muoversi dopo alcuni anni di inattività deve aver pazienza: la prima uscita sarà piuttosto breve e le corse successive non potranno aumentare a dismisura la distanza. Ci sono due formule per calcolare quanti metri è bene percorrere nella prima uscita e per sapere quanti metri aggiungere ad ogni uscita successiva, ma fondamentalmente vale la regola che ognuno deve essere in grado di autoregolarsi sulla base del proprio stato fisico.
Se al termine di una corsa state bene ed avete voglia di continuare fatelo pure, male non fa. Se, al contrario, durante un normale allenamento sentite che qualche cosa non funziona rallentate il ritmo o fermatevi del tutto: non siete in gara.
Durante le prime uscite inoltre evitate i percorsi troppo impegnativi o discontinui (niente salite o discese e niente terreni cedevoli) ed i fondi sconnessi, correte solo in orari lontani dai pasti e, paradossalmente, non correte troppo forte: l’ideale è una velocità che affanni leggermente il respiro ma senza trasformarlo nel classico “fiatone” (allenamento aerobico).
Chi sa misurare la frequenza cardiaca può partire dal numero delle pulsazioni a riposo (quindi contate durante un momento di relax) e raddoppiarle: per nessun motivo tale valore deve essere superato nelle prime uscite e comunque non bisogna superare le 120 pulsazioni al minuto. No quindi agli sprint per superare un amico o per non trovare il semaforo rosso (ci si può tranquillamente fermare), mentre va benissimo il far precedere e il chiudere le prime uscite con una bella camminata.
Ma veniamo alle formule. Per calcolare la lunghezza della prima corsa in funzione dell’età bisogna sottrarre l’età stessa dal numero 65, dividere il risultato per dieci, elevare il tutto al quadrato e moltiplicare il risultato per 150. Per sapere invece quanta strada aggiungere ad ogni uscita bisogna prendere il risultato della formula precedente e dividerlo per tre. Per aiutare chi non ama la matematica abbiamo riportato una tabella che sintetizza le due formule:

Età

Distanza iniziale

Distanza aggiuntiva

20 anni

metri 3038

metri 1013

25 anni

metri 2400

metri 800

35 anni

metri 1350

metri 450

40 anni

metri 938

metri 313

45 anni

metri 600

metri 200

50 anni

metri 338

metri 113

55 anni

metri 150

metri 50

 GLI INDUMENTI

L’indumento più importante per il podista è quello che si mette a diretto contatto con la pelle. Anni fa le magliette più usate erano quelle di cotone, per l’elevato potere nell’assorbimento del sudore. L’aspetto negativo delle magliette di cotone è dato dal fatto che si asciugano molto lentamente, aumentando notevolmente il disagio, tanto che sembra che il freddo penetri fino alle ossa. Recentemente, le magliette che s’indossano a diretto contatto con la pelle sono composte da poliestere, un prodotto che pur assorbendo il sudore, lo “allontanano” dallo strato più interno a quello più esterno. In questo modo il sudore può evaporare, o essere assorbito da un altro indumento sovrastante, in modo che la pelle rimane sempre asciutta.
Sopra la maglietta di poliestere si può indossare una maglia un po’ più pesante di quella che si porta a pelle, ed anche un terzo strato che protegge dall’aria fredda, o anche dalla pioggia. Questo indumento, oltre ad essere protettivo e repellente alla pioggia e all’umidità, deve allo stesso tempo consentire il passaggio, verso l’esterno, del calore prodotto dall’organismo. Va evitato però il classico k-way di nylon a favore invece del Gore Tex.
Per quanto riguarda le gambe, anch’esse vanno coperte ma con minor protezione rispetto al tronco perché muovendosi maggiormente, producono una notevole quantità di calore. Per questo motivo è sufficiente che le gambe siano coperte da un solo strato. E’ consigliabile indossare una calzamaglia aderente, ed anche in questo caso in poliestere miscelato anche con una fibra più elastica (elastan), per dare massima libertà ai movimenti delle gambe. In caso di pioggia si possono indossare pantaloni sempre in Gore Tex.
Siccome la metà del calore prodotto dall’organismo sotto sforzo è eliminato dalla testa, è importante che si corra con il capo coperto, anche se è conveniente toglierlo quando si sente caldo, proprio perché dalla testa si elimina un’elevata quantità di calore. Per chi ha problemi a correre con il berretto anche quando fa particolarmente freddo, sono gli orecchi e la fronte che devono essere riparati, e soprattutto quest’ultima per evitare di sviluppare patologie da raffreddamento. In questo caso ci sono delle ampie fasce, in pile, che avvolgono la fronte e gli orecchi.
Per coprire adeguatamente le mani è consigliabile mettere dei guanti in poliestere perché le mantengono calde, ma fanno anche traspirare la pelle. Inoltre questi guanti sono leggeri ed abbastanza repellenti all’acqua. Per chi è molto freddoloso alle mani, piuttosto dei guanti deve mettere le manopole che trattengono con più efficacia il calore.
Ai piedi, per evitare che sia il sudore sia l’acqua che penetrano dalla scarpa quando si corre con la pioggia, bagnino la pelle, suggerisco di usare calzini in Cool Max, anch’essi ad effetto assorbente e repellente.
Una regola da seguire per evitare di vestirsi troppo, e quindi avere molto caldo mentre si corre e sudare abbondantemente, è quella di percepire un po’ di freddo poco prima di iniziare a correre. Passati cinque/dieci minuti dall’inizio dell’allenamento, il calore prodotto dall’organismo si diffonde in tutto il corpo e sparisce il disagio del freddo.

DECALOGO DELLO SPORTIVO

 

1) Pratica lo sport per la passione e disinteressatamente
2) Segui i consigli di coloro che hanno esperienza
3) Accetta senza obiezione le decisioni dei giudici
4) Vinci senza presunzione e perdi senza amarezza
5) Preferisci perdere piuttosto che vincere con mezzi sleali
6) In ogni azione della vita comportati con spirito sportivo e lealtà
7) Applaudi il vincitore ma incoraggia il perdente
8) Sappi trarre utili lezioni dalla vittoria e dalla sconfitta
9) Comportati in maniera dignitosa durante le gare e gli allenamenti
10) Agisci sempre e in ogni occasione con sentimento sportivo.

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Prima di partire, per prendere parte a una maratona, è buona norma fare un riepilogo generale di cosa si è messo nella borsa sportiva. Questa lista, che può essere stampata e fotocopiata ogni qualvolta se ne abbia bisogno, vuole essere un piccolo aiuto per semplificare la spunta, contribuendo ad alleviare la tensione pre-gara ed a concentrarsi meglio per la competizione alla quale si sta per partecipare.
Spunta (con X gli oggetti presenti nella borsa sportiva)

___DOCUMENTI PERSONALI (passaporto, carta d’identità, patente)
___SOLDI E BIGLIETTO (treno o aereo)
___CIBI E BEVANDE (snack, reintegratori, ecc.)
___TESSERA DI SOCIETÀ O CERTIFICATO MEDICO DI IDONEITÀ
___RICEVUTA DELL’AVVENUTA ISCRIZIONE
___NUMERO DI GARA
___VOLANTINO CON LUOGO ED ORARIO DI PARTENZA E NOTIZIE UTILI
___SCARPE DA ALLENAMENTO E/O DA GARA
___CALZINI SPORTIVI
___PANTALONCINI CORTI
___TUTA SPORTIVA (PANTALONI + FELPA)
___CAMBIO COMPLETO DI VESTIARIO
___OCCHIALI DA SOLE
___CAPPELLINO
___GUANTI (a seconda della stagione)
___ASCIUGAMANO E/O ACCAPPATOIO
___TAGLIAUNGHIE
___CREMA SOLARE
___VASELINA E/O OLIO CANFORATO
___FAZZOLETTI E/O CARTA IGIENICA
___PENNA E CARTA PER APPUNTI

___DIARIO DI ALLENAMENTO
___CRONOMETRO

 

Allenamento corsa principianti

 

Iniziare a correre per chi non ha mai corso, può essere traumatico, ecco quindi alcuni consigli base per principiantiche vogliono provare a correre i primi chilometri:

  • Anche se si proviene da altri sport, cominciare a correre molto gradualmente alternando alla corsa qualche minuto di cammino per le prime settimane.
  • Non allenarsi a correre tutti i giorni ma alternare 1 giorno si e uno no.
  • Cominciare sempre, anche se si corre pochi minuti con scarpe adatte che devono essere adeguatamente ammortizzate
  • Anche se si corre piano fare un adeguata sessione di riscaldamento, prima di cominciare l’ allenamento; prevedere anche una sessione di defaticamento alla fine della corsa, camminando velocemente qualche minuto.
  • Cercare di correre ad un passo che consenta di parlare normalmente con un eventuale compagno.
  • Se si è in forte sovrappeso (bmi superiore a 25) per le prime settimane cercare di alternare spesso corsa e cammino , per non affaticare troppo le articolazione, i tendini e i muscoli.
  • Cercare inizialmente di correre su terreni abbastanza morbidi e pianeggianti, come sterrati, ed evitare possibilmente l’asfalto.

 

Il lento lungo

 

Il lungo lento o lunghissimo è considerato da molti il principe degli allenamenti per aumentare la resistenza aerobica, ed è sempre la base per tutti i programmi di allenamento per mezza maratona e maratona. Normalmente il lento lungo va svolto ad un andatura compresa tra 40 e 60 secondi sopra la velocità di riferimentoo Soglia anaerobica. Ad esempio se la soglia è 5,30 Minuti/km, l’ allenamento sarà percorso ad un andatura intorno ai 6,20/6,30La distanza media che si deve in un  percorrere in un lento lungo  è relativa al tipo di gara che si intende preparare, i lunghissimi per preparare una maratona non dovrebbero essere inferiori ai 28 Km. mentre i lunghi per  una mezza maratona sono attorno ai 17 o 18 chilometri.Il lunghissimo non va corso in prossimità della gara, specialmente se si tratta di una Maratona. e bisogna arrivare alle distanze che si intendono percorre gradualmente aggiungendo 2-3 chilometri per volta.Per correre una maratona il lento lungo è un tipo di allenamento fondamentale, non si può pensare di arrivare in fondo a una maratona se il non si corre almeno 3-4 lunghi di tra i 22 e i 28 chilometri.

 

Il fondo medio tradizionale

     

 

Il fondo medio classico è un allenamento fondamentale per tutti i runner, previsto in tutte le tabelle di allenamentoe fondamentale in prospettiva mezza maratona.Il medio si corre secondo molti autori ad un andatura superiore di 20 secondi  al ritmo della soglia anaerobica. Naturalmente sono ritmi adattabili ai vari livelli degli atleti in quanto 20 sec al km in più sono molti per chi corre a 3 al km mentre per i più lenti che corrono a 6 al km potrebbe essere pochi per rappresentare uno stimolo adeguato. Il fondo medio è fondamentale soprattutto per innalzare la soglia anaerobica. la definizione di fondo medio è naturalmente derivata dal fatto che questo allenamento si pone a metà tra il fondo lento ed il fondo veloce. Nel fondo medio come nel veloce assume grande importanza l ‘uso del cardiofrequenzimetro. Le distanze da percorrere variano secondo età e attitudini del runner e della distanza su cui ci si sta preparando. per un atleta amatore medio il fondo medio per la preparazione di una mezza maratona dovrebbe essere tra 10 e 15 chilometri.

 

Il fartlek

 

Il fartlek è un allenamento di origine svedese che prevedeva nella versione originale di correre a sensazionesoprattutto su percorsi ondulati e sterrati. Oggi viene corso normalmente in maniera più razionale tendendo ad assomigliare all’ interval training . Il fartlek è sicuramente uno degli allenamenti più divertenti e come vantaggio principale e che si adatta bene , per la sua natura alle caratteristiche individuali dei podisti, ed è un allenamento valido principalmente per podisti esperti che sappiano gestirlo adeguatamente.Il beneficio principale del fartlek come allenamento è motivazionale, in quanto è un allenamento che si riesce a svolgere anche in periodi di scarsa motivazione.Un esempio di fartlek potrebbe essere questo: (esempio tratto da un allenamento ideato dall’ allenatore svedese  Gösta Holmer che si ritiene l’ inventore del fartlek)

  • Corsa leggera per 5-10 minuti – riscaldamento.
  • A velocità  costante, corsa veloce per 1200m fino a 2400m – come una lunga ripetizione.
  • Camminata veloce per 5 minuti – recupero.
  • Corsa leggera con brevi scatti di 50m, ripetuto finché non si è un po’ stanchi – Inizio del lavoro sulla velocità.
  • Corsa leggera con di tanto in tanto tre o quattro ‘passi veloci’ (improvviso aumento di velocità a simulare l’arrivo di un avversario che tenta di superare).
  • Piena velocità su per una collina per 200m.
  • Immediatamente passo veloce per 1 minuto.
  • Il ciclo va ripetuto per l’intera durata della sessione di Fartlek.

  

Lungo progressivo

 

Il lungo progressivo è la variante moderna del lungo tradizionale corso tutto allo stesso ritmo. Generalmente il lungo progressivo prevede di correre 3 diversi segmenti ad andature crescenti e di lunghezza differente. Questo lungo, come tutti gli allenamenti progressivi, permette di adattare l’ organismo a finire una gara in crescendo.Un classico esempio di lungo progressivo può essere:

  • 10 km a 6 al chilometro  /5’00
  • 5   km a 5.45 al chilometro / 4’45
  • 3   km a 5,30 al chilometro / 4’30

Naturalmente sono possibili tutte le varianti che si ritiene necessarie, l’ importante è cercare di andare sempre in progressione di velocità, perche è questa progressione che  rende questo tipo di allenamento particolarmente produttivo.

 COME SI CORRE IN SALITA

Spostare il proprio corpo verso l’alto richiede uno sforzo piuttosto considerevole, che diventa tanto maggiore quanto più elevata è la pendenza della strada e maggiore è il proprio perso corporeo. Nelle corse in salita è molto importante avere un buon rapporto peso potenza, ed ovviamente i podisti magri sono quelli più avvantaggiati.
Per far fronte allo sforzo, il primo accorgimento da adottare è quello di ridurre l’ampiezza del passo. Per una minor spesa energetica conviene procedere a piccoli passi ed aumentare così la frequenza di passi al minuto. Piuttosto che procedere a passi ampi; è sufficiente appoggiare il piede della gamba che avanza appena poche decine di centimetri più avanti del piede che è a terra e che spinge.
Anche se si procede con un falcata ridotta, il numero di passi al minuto non è così elevato come quello che si tiene in una gara su strada. Ciò è determinato dal fatto che la durata della fase d’appoggio del piede a terra è maggiore (superiore ai 240-260 millesimi di secondo che si ha in pianura) perché più elevata è la fase di spinta. Per agevolare la fase di spinta dei piedi e gravare di meno sui muscoli delle gambe, è importante spostare in avanti le spalle ed anche aumentare il movimento delle braccia. Un maggior movimento delle braccia serve a dare maggior impulso e sostegno all’azione di spinta dei piedi.
Quando la pendenza è molto elevata, superiore al 20%, potrebbe anche diventare più vantaggioso camminare che non continuare a correre perché altrimenti il passo sarebbe così corto da determinare un minimo avanzamento. Procedere invece a passi abbastanza ampi, con il busto ancor più spostato in avanti (inclinato in maniera parallela alla pendenza della strada) e con le mani che fanno forza sulle gambe, consente di avanzare in maniera adeguata allo sforzo che si sta sostenendo. Avanzando a passi più ampi e con una frequenza più bassa, lo sforzo si riduce in parte tanto che dopo qualche decina di secondi a questa andatura ci si sente in grado di riprendere a correre, ed è utile farlo per alleggerire lo sforzo dei muscoli impegnati. Quando si procede camminando a passi ampi la maggior parte del carico grava sui quadricipiti (cosce) e sui glutei, mentre quando si corre invece a piccoli passi lo sforzo è invece a carico prevalentemente del tricipite surale (muscoli del polpaccio). Alternare tratti camminando a passi ampi ad altri di corsa, consente di recuperare parte dello sforzo muscolare.

COME SI CORRE IN DISCESA

Correre in discesa e meno faticoso, almeno dal punto di visto organico, come evidenziato da una ventilazione minore e da una riduzione della frequenza cardiaca. L’impegno muscolare può essere invece sempre elevato e i disagi determinati dall’impatto del piede con il fondo stradale si ripercuotono a livello delle cosce, perché questa parte della gamba è deputata a frenare l’azione di corsa. Il giorno successivo ad una competizione su saliscendi si percepisce un forte disagio alle cosce, tanto che a volte gli indolenzimenti sono così forti che s’avvisa dolore anche ad una semplice pressione delle dita della mano sul quadricipite. In alcuni casi, e questo si verifica anche in occasione delle maratone (soprattutto quelle che hanno parecchi tratti di discesa), il dolore è così vivo che il podista non riesce a scendere le scale se non camminando a ritroso (mentre invece non ci sono problemi a salire). Ciò è determinato dal fatto che nel momento dell’impatto del piede con il terreno, le forze di allungamento del muscolo (contrazioni eccentriche) si oppongo a quelle che accorciano il muscolo (contrazione concentrica). Questo contrasto di forze (che si verifica praticamente solo sui muscoli del quadricipite), determina un forte stiramento delle fibre muscolari che si lacerano, definito con il termine “rabdomiolisi”. La sommatoria di migliaia di fibre distrutte causa un dolore muscolare che perdura per alcuni giorni, ed la completa fase di rigenerazione delle fibre dei muscoli può durare fino anche a 3 settimane.
Tuttavia non è vero che correre in discesa non sia faticoso, soprattutto se si ha una buona tecnica per cui si è in grado di spingere e tenere quindi alte velocità di corsa. Chi in discesa non sa correre in maniera adeguata tende a non fare particolare fatica perché non sa sfruttare il vantaggio della discesa, e si limita semplicemente a scendere seguendo la trazione della forza di gravità. Questi podisti tecnicamente poco abili (e sono molti), tendono a stare con il bacino arretrato (spalle all’indietro) e di conseguenza toccano terra con il tallone e con il “piede a martello” (punta del piede in alto) perdendo così velocità a causa della maggior azione di frenata. I podisti che invece sanno correre bene in discesa (bacino e spalle abbastanza avanzate e contatto con il terreno che avviene con la pianta o con  avampiede) , arrivano anche a fare una discreta fatica proprio perché spingono come se stessero correndo in pianura. Grazie alla loro ottima tecnica, in discesa vanno molto più forte degli altri, e sono in grado di guadagnare il tempo perso in salita, cosa che invece non si verifica per altri. E’ noto che il costo energetico della corsa in salita è proporzionalmente maggiore con l’aumentare della pendenza della strada (vedi tabella delle pendenze), ma anche la corsa in discesa può essere particolarmente dispendiosa. Anche in questo caso l’aumento del costo energetico dipende dal gradiente della pendenza. Fino a discese con pendenza inferiore al 10%, la spesa energetica è contenuta, mentre invece aumenta considerevolmente quando il gradiente aumenta. Ciò è determinato da un maggior coinvolgimento muscolare perché si tende a correre più rigidi per frenare. Se quando si corre in salita l’azione delle braccia ha una certa importanza, in discesa le braccia hanno maggiormente un effetto stabilizzante per mantenere un buon equilibrio e tenere il bacino basso. 

                                                              L’ALLENAMENTO                                                           

 Proprio perché la fisiologia della corsa in salita non è differente da quella delle analoghe competizioni di pari durata che si svolgono in pianura, l’impostazione tecnica dell’allenamento non differisce molto da quella di una gara di 10 o 15 km su strada. Ci sono tuttavia delle situazioni peculiari tipiche solo della corsa in salita a cui prestare attenzione sia per massimizzare il rendimento, sia per non perdere delle qualità tecniche necessarie per correre al meglio quando si vuol gareggiare successivamente anche in pianura.
Per ricercare i migliori adattamenti muscolari, visto il modificato rapporto dei tempi di contrazione e rilassamento dei muscoli, è necessario svolgere sedute specifiche in salita. Tuttavia non è solo sufficiente correre in salita ad impegno controllato, ma è invece anche determinante eseguire delle sedute in cui lo sforzo è elevato. Quest’ultimo aspetto è importante soprattutto da un punto di vista psicologico giacché in salita ci si deve abituare a soffrire un po’ di più. I mezzi di allenamento per gli specialisti della corsa in salita sono praticamente gli stessi del podista che si dedica alle gare in pianura: corsa a ritmo medio e ripetute. Questi sono quindi gli allenamenti che addestrano anche a sopportare l’impegno mentale, ma è altrettanto utile inserire salite di varia lunghezza e pendenza durante le lunghe uscite di corsa a ritmo lento perché contribuiscono a migliorare la forza muscolare, ma non solo. Affrontare, infatti, una salita dopo che si sono già percorsi parecchi chilometri, rappresenta sempre uno stimolo allenante di un certo significato tecnico: anche se non si percorre la salita ad un ritmo sostenuto, i saliscendi contribuiscono nel ricercare una meccanica di corsa efficiente ed economica.
Per quanto riguarda la corsa media in salita, questo tipo di seduta agisce a muscolare perché migliora la capacità dei muscoli a sostenere a lungo un elevato impegno, migliorando la forza resistente. Inoltre, un aspetto tecnico importante è quello relativo all’utilizzo e allo smaltimento dell’acido lattico. Dopo alcuni minuti di corsa in salita ad impegno medio, nelle fibre dei muscoli c’è una produzione piuttosto elevata di acido lattico, senza tuttavia che si arrivi all’accumulo, che da queste fuoriesce. In questa situazione di crescente acidosi muscolari, le fibre con il tempo si addestrano a produrne sempre meno (e quindi ad andare in crisi sempre più tardi), ed anche a riutilizzarlo a scopo energetico. Sono le fibre muscolari limitrofe a quelle che maggiormente lavorano a diventare abili nel riciclaggio della acido lattico e ciò contribuisce al fatto di limitare l’accumulo di acido lattico nel sangue. E’ questo un aspetto metabolico che anche il maratoneta deve considerare con una certa importanza, proprio per arrivare a fa si che i suoi muscoli, seppur impegnati a livello di sforzo piuttosto considerevole, siano in grado di non produrre tanto acido lattico. Questo aspetto metabolico è simile a quello che si determina nella corsa media in pianura, anche se una consistente produzione di AL si verifica solo verso il finale della seduta, mentre nella corsa in salita, proprio per il fatto che l’impegno muscolare è maggiore , l’AL tende ad uscire dalle fibre muscolari già dopo qualche minuto in cui si è iniziato. Quindi, l’esposizione allo stimolo del riciclaggio dell’AL permane per molto più tempo.
La pendenza della strada per una seduta di corsa media in salita non deve essere troppo accentuata, altrimenti il rischio è solo quello di fare tanta fatica e di scadere nell’aspetto dell’efficienza dell’azione di corsa, quando in pratica si deve procedere a piccoli passi. E’ preferibile non correre molto a lungo su pendenze superiori al 10-15%, sia perché lo sforzo diventerebbe molto elevato, sia perché ne risentirebbe anche l’azione meccanica. Quando, infatti, la strada sale molto si tende ad accorciare considerevolmente il passo e ciò va appunto a scapito dell’azione di corsa qualora s’intendesse gareggiare ancora in pianura. Basta pensare al fatto che gli specialisti della corsa in salita, quando gareggiano sul loro terreno non temono i colleghi stradaioli  che invece in pianura sono in grado di sostenere andature proibitive per i “montanari”. Allo stesso modo, gli specialisti della corsa in salita si trovano in grande difficoltà a seguire le andature imposte dai colleghi stradaioli proprio perché il problema maggiore non è di ordine organico, ma biomeccanico (buona azione di spinta e una falcata fluida ed efficiente). Anche il fondo del terreno ha una certa influenza, ed è meglio non correre troppo sui sentieri e fuoristrada perché la precarietà dell’appoggio condiziona l’azione di spinta. Gli specialisti della corsa in montagna devono invece correre proprio sul tipo di terreno caratteristico delle gare che andranno a correre. E’ invece preferibile correre su strada asfaltata o dal fondo regolare.
Lo stesso discorso vale anche per le sedute di ripetute medie e lunghe, anche se in questo caso la pendenza della strada può certamente arrivare anche gradienti più elevati perché la durata dello sforzo è minore. Tuttavia, sempre a favore del fatto di non scadere nell’azione biomeccanica, è preferibile mantenere la pendenza della strada entro il 10%. Nelle corse in salita, ad accezione delle gare in montagna, difficilmente si trovano percorsi con lunghi tratti oltre tale pendenza.
Nelle sedute di prove ripetute, la parte più problematica nell’organizzazione della seduta è quella relativa alla gestione del recupero. Se ad es. si devono correre delle prove di 5′, la soluzione migliore è quella di recuperare tornando di corsa al punto di partenza, in maniera da ripetere la stessa distanza della prova. Ciò inoltre consente di non dover percorrere poi tanta discesa continua una volta completata la serie delle prove, ed esporsi così ad un maggior traumatismo muscolare. Questo tipo di organizzazione del recupero comporta un allungamento della durata della pausa rispetto a quella proposta, a sfavore dell’effetto allenante a livello cardiocircolatorio. Tuttavia, per compensare a questa perdita dello stimolo allenante, suggerisco di fare la discesa correndo a ritmo un po’ sostenuto sia per ridurre così la durata della prova sia per mantenere ad un certo livello l’impegno cardiocircolatorio.
Diversamente, si possono anche svolgere delle sedute nelle quali si continua sempre a correre in salita, sia la ripetuta sia il recupero. Questo tipo di organizzazione dell’allenamento è maggiormente allenante perché, anche se durante il recupero si corre a ritmo lento, per l’alterazione del rapporto contrazione -rilassamento, i muscoli lavorano sempre in una situazione di difficoltà. La precauzione da prendere sarebbe quella di non fare di corsa tutta la strada percorsa in salita, sempre per il discorso del maggior rischio di traumatismi, che in questo caso sarebbe anche più elevato perché si percorrere la discesa con le gambe stanche ed affaticate dal lavoro intervallato svolto in salita. E quando le gambe sono affaticate, il controllo dell’azione di corsa e dell’appoggio dei piedi è più precario.
Il fartlek in salita, proprio come l’omologo tipo di allenamento in pianura, può essere organizzato in vari modi, seguendo in pratica le proprie sensazioni. Lungo la salita si possono fare cambi di ritmo di varia durata, o anche applicare la regola del recupero uguale alla durata della prova. Personalmente ho applicato con successo sedute del tipo 100 metri veloci alternati a 100 metri lenti, su una distanza di 5km, o anche 30″ di corsa impegnata ad altri 30″ di recupero di corsa lenta. A volte ho anche voluto testare la mia “stamina” in salita alternando 30″ di corsa a buon impegnato ad altri 30″ secondi percorsi a ritmo piuttosto sostenuto. In questo caso la durata della seduta non può essere particolarmente lunga perché l’accumulo crescente dell’acido lattico manda in crisi i muscoli.
Le corse in salita che si svolgono in zone di montagna possono anche portare i podisti a raggiungere quote piuttosto elevate, dove la presenza dell’ossigeno nell’aria è inferiore a quella che c’è in pianura creando così una maggior difficoltà di rendimento. Se quindi si hanno in programma corse in quota, a livello dei 1200-1500 metri, sarebbe ideale soggiornare sul luogo della gara arrivando con 3-4 giorni d’anticipo in modo da stimolare l’organismo a produrre un maggior numero di globuli rossi. Ciò consentirebbe di far fronte con maggior efficacia alla rarefazione dell’ossigeno che inizia a fare sentire i suoi effetti a livello dei 1500 metri sul livello del mare. Per attivare con maggior rapidità ed efficacia l’eritropoiesi (aumento della produzione di globuli rossi) è preferibile svolgere alcune sedute di corsa piuttosto che limitarsi  a fare riposo.
E’ da considerare inoltre che se una corsa parte da quota 1500 metri è facile che arrivi anche a superare la quota dei 2000 metri sul livello del mare, e a quest’altitudine il rendimento fisico è fortemente ridotto. Nell’impostare l’andatura di gara si deve quindi considerare anche questo fattore, ed è perciò necessario essere ancor più prudenti perché alla stanchezza muscolare si somma al minor rendimento da altura.
Ogni podista, quando si allena, ha dei percorsi preferenziali dove svolgere gli allenamenti più importanti, come le ripetute, la corsa media, il corto veloce ed anche il lungo lento. Per avere dei riferimenti precisi c’è chi, i propri percorsi, li misura chilometro per chilometro, oppure ogni 500 metri, fino anche a frazioni di 100 metri. Ed il cronometro è un punto di riferimento importante per misurare l’entità dello sforzo, in modo da avere dei parametri di confronto sulla propria condizione di forma. Così i percorsi di allenamento, di solito, sono pianeggianti, lineari, con poche curve e preferibilmente asfaltati, in modo da tenere delle andature costanti, regolari, e le più veloci possibili. Quasi tutti i podisti sono particolarmente meticolosi in occasione di sedute dove è importante controllare i tempi che si impiegano per percorrere specifiche distanze, tanto che molti sono soliti usare scarpe leggere, come quelle da competizione, proprio per essere nella condizione di rendere al meglio. E quando intervengono fattori esterni imprevisti come il caldo, il freddo, la pioggia ed il vento a modificare le condizioni ottimali, i più meticolosi vanno facilmente in crisi se i tempi di percorrenza sono diversi da quelli usuali. La stessa cosa vale in occasione di gare che si svolgono su tracciati non lineari, comprendenti salite, fondo sterrato, ecc. E’ certamente difficile poter calcolare il fattore di rallentamento di una variante esterna come quelle elencate in precedenza. Ad es. la differenza nel percorrere 1 km sullo sterrato rispetto alla stessa distanza sull’asfalto è dell’ordine dei 5 secondi al chilometro, che raddoppiano se il fondo invece è erboso. Si può anche fare una distinzione ulteriore se l’erba e ben rasata, come quella di un campo appena falciato, rispetto all’erba un po’ più alta, che ulteriormente rallenta il ritmo di altri 5″ al chilometro. Quindi, una gara di pari distanza ha un tipo di affaticamento maggiore se viene corsa su un fondo diverso da quello asfaltato; ad es. una corsa campestre di 10km, può essere tranquillamente parificata ad una competizione di 12-13 chilometri su strada.
Ora c’è anche la possibilità di fare dei riferimenti tra correre in pianura ed in salita, in funzione della pendenza della strada. E’ importante conoscere la difficoltà del tracciato per avere l’idea di che tipo di sforzo si deve affrontare, e quindi della tattica di gara da adottare. Non è, infatti, sufficiente conoscere il chilometraggio di una corsa in montagna; si deve sapere anche la pendenza della strada perché ad es., per percorrere 10 chilometri in salita si può arrivare anche ad impiegare quasi il doppio del tempo necessario a coprire la stessa distanza in pianura. Ecco quindi che una competizione di 10km deve essere affrontata con la tattica di una corsa di mezza maratona in pianura.
In base alla pendenza della strada si può avere un coefficiente (vedi tabella) per calcolare l’equivalente della distanza in salita con il corrispondente in pianura, in modo da sapere quale tipo di sforzo si deve affrontare.

PENDENZA DELLA SALITA INDICE DI PENDENZA

INDICE DI PENDENZA

1,1
1,2
1,3
1,4
1,5
1,6
1,8
2,0
2,5
3,0

5%
6%
7%
8%
10%
12%
14%
16%
18%
20%

Come usare la tabella? Semplice; una corsa in salita di 10km con pendenza del 10% (indice 1,5) corrisponde ad una gara in pianura di 15km (10km x 1,5 = 15,0km). Allo stesso modo, oltre alla distanza da correre, si può trovare anche il ritmo di corsa da tenere. Prendendo come riferimento l’es. precedente (una corsa si 10km in salita corrisponde ad una gara di 15km in pianura) risulta che se in pianura su 12km si corre a 5 minuti al chilometro (12km/h), in salita si dovrà tenere un’andatura di 8km/h, pari a 7′ minuti e 30 secondi al chilometro (12km/h : 1,5% = 8km/h; 5′ x 1,5 = 7’30”). Per fare dunque un chilometro in salita lo sforzo corrisponde ad una volta e mezzo a quello di un chilometro in pianura.
Difficilmente un percorso di corsa in salita ha una pendenza costante, e quindi è necessario valutare i diversi tratti in funzione delle differenti inclinazioni della strada. Ad es. 1km con pendenza del 16% (indice di pendenza 2) lo sforzo sarà doppio rispetto ad 1km in pianura, e di conseguenza doppio anche il tempo di percorrenza. Se la pendenza sale al 20% (indice della pendenza 3) lo sforzo diventa triplo, e quindi un podista che in pianura corre 1 chilometro in 5′, in salita ne impiegherà 15′.
Così come la salita incide negativamente sul ritmo di corsa, la discesa invece consente, fino ad un certo punto, di recuperare il tempo perso. In discesa l’indice di pendenza è più limitato: fino a pendenze del 7% l’indice di pendenza è inferiore ad 1, e quindi il ritmo di corsa è più veloce rispetto alla pianura. Da pendenze del 8 fino al 10% il coefficiente è appena di poco inferiore 1, e quindi su discese ripide si va poco più forte che in pianura (ovviamente conta molto la tecnica di corsa, ma sono pochi i podisti in grado di riuscire a correre bene in discesa). Su pendenze superiori a 10% addirittura si può anche andare più piano che in pianura perché si tende a frenare. Infatti, in una lunga discesa con forte pendenza l’impegno muscolare per frenare comporta un tipo di contrazione (eccentrica) che causa dolore localizzato ai quadricipiti.

                                      Allenamento per podisti in là con gli anni

 Con il passare degli anni, soprattutto dopo aver superato la soglia dei quaranta, il rendimento fisico, e di conseguenza i risultati in campo sportivo, ne risente evidenziando un peggioramento delle prestazioni cronometriche.
Se si prende come punto di riferimento il massimo consumo di ossigeno, nelle persone che non praticano attività sportive il calo è di circa il 10% ogni dieci anni, già a partire dai trent’anni d’età. Nelle persone che invece svolgono attività fisica, il rendimento scade solo della metà. Quindi, l’allenamento è un fattore che mantiene efficiente il funzionamento degli apparati fisici direttamente coinvolti negli sforzi aerobici, soprattutto quello cardiaco.
Uno studio molto interessante ha evidenziato che degli atleti di alto livello, al termine della loro carriera agonistica, avendo continuato ad allenarsi con buon impegno, hanno mantenuto un rendimento sportivo decisamente migliore rispetto ad altri colleghi che, pur sempre correndo (da 2 a 4 volte la settimana), ma ad un’intensità più ridotta, hanno ridotto considerevolmente il loro rendimento. I risultati di questa indagine hanno evidenziato che i podisti che seguivano un tenore d’allenamento più ridotto, avevano avuto un calo del 15% della loro capacità aerobica, una riduzione di 12 battiti il minuto della frequenza cardiaca massima, una riduzione dell’ampiezza della falcata, ed una perdita d’efficienza dell’azione di corsa.
Quei podisti che invece avevano smesso completamente di correre, avevano avuto un calo del massimo consumo d’ossigeno pari al 43%, ad evidenziare che l’allenamento svolto in precedenza non da nessun vantaggio ai fini della resistenza negli anni successivi se l’individuo non continua a svolgere una minima attività fisica.
Nei podisti che invece svolgevano allenamenti più impegnativi, e partecipavano ancora regolarmente a delle gare, fu riscontrato un leggero calo della capacità aerobica (9%) ma nessuna perdita significativa nei valori del massimo consumo d’ossigeno, della frequenza cardiaca massima e della lunghezza della falcata. La risposta a questi risultati sta nel fatto che gli atleti più competitivi hanno continuato a svolgere allenamenti ad alta intensità, con l’inserimento di sedute di ripetute, fartlek, interval  training, sprint in salita e gare. Con il passare degli anni è risaputo che la frequenza cardiaca tende ad abbassarsi, e di conseguenza anche la gittata cardiaca. Ciò si verifica in maniera decisamente meno evidente negli atleti che svolgono allenamenti di alta intensità perché il cuore è stimolato a lavorare al alti livelli. Ciò non significa che con il passare degli anni si possa, o si debba, svolgere lo stesso carico di allenamento che si faceva in età più giovane. Bisogna considerare, infatti, anche una perdita d’efficienza dell’apparato muscolare per la progressiva sostituzione del tessuto muscolare (più elastico) in tessuto connettivo (più rigido). Si tratta quindi di sviluppare un piano d’allenamento con un bilanciato carico tra le componenti quantitative e qualitative, per evitare il rischio d’infortuni.
Per modulare un adeguato carico d’allenamento che non sottoponga le strutture articolari ad un elevato logorio, si dovrebbe considerare l’opportunità di svolgere sedute di altri sport aerobici. Ad esempio. il nuoto ed il ciclismo sono due alternative alla corsa in quanto, pur sollecitando in ogni caso il meccanismo aerobico e tonificando i muscoli, riducono notevolmente l’impatto traumatico sulle articolazioni.
È altrettanto utile una seduta settimanale di rafforzamento muscolare generale da svolgere in palestra, con l’impiego di modesti sovraccarichi, perché mantiene efficiente la muscolatura, e di conseguenza di avere un’efficace azione di corsa.
In seguito ad una perdita d’efficienza muscolare rispetto ai trent’anni, a risentirne è il recupero dopo gli allenamenti impegnativi. Alla luce di questo fatto è consigliabile, pur mantenendo approssimativamente gli stessi carichi, allungare i tempi di recupero. Se una volta per esempio si era in grado di fare un allenamento impegnativo a sole 48 ore da uno precedente, è consigliabile ora svolgerlo dopo tre giorni. Così facendo si è in grado di mantenere un buon livello di rendimento quando si tratta di correre ad alta intensità.

                                                                Ripetute in Salita

 Le ripetute in Salita rappresentano un ottimo sistema di allenamento naturale per il potenziamento muscolare. Le ripetute sono utili nei periodi di costruzione e sono da preferire generalmente al potenziamento muscolare in palestra.

Le salite utilizzate per le prove ripetute in salita son generalmente di 3 tipi :

  • Salite Brevi
  • Salite Medie
  • Salite Lunghe

Le Salite brevi sono al massimo di 120 /150 metri e vengono effettuate a sforzo massimale. La pendenza è notevole spesso oltre il 10 % e si deve recuperare lentamente in discesa. Il numero delle ripetizioni è elevato ( oltre le 10 solitamente)

Le Salite Medie sono da 150 a anche 500 metri e con pendenze dal 5 al 10 %. Vanno naturalmente corse ad una velocità inferiore alle salite brevi diminuendo anche il numero delle ripetizioni.

                                                                    Il defaticamento

Per finire a regola d’arte una seduta impegnativa, prima di completare l’allenamento facendo dei facili e decontratti esercizi di allungamento muscolare, si deve fare il defaticamento.
Il defaticamento consiste in una fase di corsa della durata di una decina di minuti in cui si procede a ritmo molto facile. Di per sé l’andatura da tenere non ha nessuna rilevanza, tanto che si può correre veramente piano perché la finalità del defaticamento è semplicemente quella di rilassare la muscolatura delle gambe, fortemente sollecitata dallo sforzo svolto nel corso della seduta.
Il defaticamento facilita, inoltre, l’allontanamento dei cataboliti prodotti dai muscoli sotto sforzo. Le tossine della fatica sono costituite dall’acido lattico, dall’ammoniaca, dall’anidride carbonica, dai radicali liberi, eccetera, e si trovano accumulate nelle fibre dei muscoli che hanno lavorato (polpacci, quadricipiti, glutei, eccetera). Le cellule di questi muscoli riversano nel sangue le tossine, per facilitarne così l’allontanamento verso quegli organi deputati allo smaltimento.
Il defaticamento ha proprio la finalità di facilitare ed accelerare la fase di smaltimento in modo da favorire così un recupero più efficace e rapido. Correndo a ritmo lento il flusso del sangue, che transita tra le fibre muscolari, serve da mezzo di trasporto delle tossine, ed avviene così una sorta di “lavaggio” muscolare.
Si possono percepire i benefici del defaticamento già al termine di questa fase: appena terminato il corpo della seduta (quella parte di corsa nella quale ci si è impegnati a correre ad un livello piuttosto intenso), i muscoli sono, infatti, più indolenziti ma soprattutto più rigidi e gonfi proprio per effetto dell’affaticamento, ma una volta completato il defaticamento, i muscoli sono più sciolti e rilassati. La fatica e la stanchezza non saranno certamente passate, ma i muscoli sono sicuramente un po’ meno induriti.

                                      Calcolo del BMI – Indice di massa corporea

 Il BMI (Body Mass Index) o indice di massa corporeo è un importante indicatore del rapporto tra peso e altezza ed un indicatore di un fisico magro o grasso. Il BMI è valido sia per uomini che per donne.

Per i runner e i podisti poi avere un BMI basso è estramamente importante per le prestazioni ( senza esagerare ) .

Chi corre la mezza maratona e ancor più la maratona non dovrebbe avere assolutamente un BMI superiore a 25, anzi ad essere severi per la maratona non dovrebbe essere superiore a 22/23.

La formula per il calcolo del BMI è piuttosto semplice

BMI = Peso / (Altezza * Altezza)

Il peso va espresso in KG e L’altezza in Metri.

La tabella tradizionale del OMS indica che:

BMI inferiore 18,5 Sottopeso
BMI tra 18,5 3 25 Normopeso
BMI tra 25 e 30 Sovrappeso
BMI oltre 30 Obesità

 Allenamento maratona

In questa sezione parleremo dell’ allenamento specifico per la maratona, con consigli e suggerimenti su come allenarsi al meglio per centrare il nostro miglior tempo anche sulla distanza regina delle corse di lunga distanza.

Un allenamento maratona prevede rispetto a quello della mezza maratona, l’effettuazione di particolari allenamenti specifici di lunghezza superiore  ai 28 km che normalmente vengono definiti lunghissimi. Questi allenamenti sono fondamentali per preparare il fisico e la mente a reggere la distanza dei 42 kilometri.

I lunghissimi servono inoltre ad abituare il nostro corpo ad usare una percentuale maggiore di grassi, cioè ad aumentare la potenza lipidica.

Anche se importantissimi i lunghissimi da soli non bastano per portare a termine una maratona. Occorre avere già una buona base aerobica e essere in grado di correre un consistente numero di kilometri settimanali. Se poi le nostre ambizioni non sono solo quelle di portare a termine la maratona, ma di ottenere un certo tempo finale come ad esempio scendere sotto le 4 ore, allora bisogna allenare anche la resistenza alla velocità e la capacità di mantenere il ritmo maratona prescelto con ad esempio degli allenamenti di fondo Medio.

La preparazione iniziale della maratona

Una volta ottenuta una preparazione alla corsa di base, essendo in grado di correre almeno 15/18 kilometri consecutivi senza arrivare stremati, si può cominciare pensare di preparare la maratona. Il primo passo consiste nel procuraci un buona tabella di allenamento adatta al nostro grado di abilità nella corsa e che sia almeno di 3 mesi (periodo inferiori sono impensabile per preparare correttamente una maratona) e cercare di seguirla il più possibile , compatibilmente con i nostri impegni.

Un passo fondamentale consiste invece, se non lo si è già fatto, nel partecipare ad una Mezza Maratona, che ci servirà da test importante per misurare il ritmo che saremo in grado di tenere in maratona. Non è necessario partecipare effettivamente ad una gara, basterà correre la maratonina come se fosse un impegno agonistico.

                                                        Allenamento mezza maratona

 Allenarsi in modo specifica per la mezza maratona normalmente consiste nel cercare di aumentare la Soglia Anaerobica che rappresenta il vero valore di riferimento per il corridore della mezza.

Naturalmente non bisogna dimenticare di allenare la resistenza con qualche lungo lento, ma è solo aumentando la cilindrata del nostro motore anaerobico che si potrà migliorare la nostra performance.

Gli allenamenti specifici saranno quindi quelli che ci permetteranno di innalzare la nostra soglia anaerobica come ad esempio delle ripetute lunghe o dei corti veloci.

Per allenarsi in modo specifico occorre quindi stabilire innanzitutto la nostra velocità di riferimento e tarare tutti gli allenamenti su questo parametro importantissimo.  Una volta stabilita la velocità di riferimento bisognerà cercare di stabilire il ritmo da tenere in mezza maratona per arrivare al risultato cronometrico finale che ci prefiggiamo. Ad esempio se volessimo finire una gara in un tempo sulle 2 ore (buon obbiettivo per un podista principiante) dovremo correre circa a 5,40 al km.

Naturalmente non bisogna dimenticare la preparazione aerobica di base e sarà quindi necessario correre almeno una volta alla settimana ad un ritmo lento (circa 40/50 secondi in più della soglia) per almeno una distanza di 15/18 kilometri. Se si è in grado poi di correre fino ai21 km tanto meglio essendo la nostra gara una gara che ci consente di testare la distanza in allenamento al contrario della maratona classica.

L’altro allenamento base che non bisogna trascurare, nei minimo 3 allenamenti a settimana da svolgere, è una corsa a ritmo medio che spesso per molti podisti è vicina la ritmo da tenere effettivamente in competizione. Si corre quindi circa 10/12 kilometri ad una velocità di circa 20 secondi superiore alla velocità di riferimento.

                                                                 Allenamento 10 KM

 L’ allenamento per preparare una 10 km, non è molto differente da un allenamento per una classica mezza maratona. Il parametro fondamentale da considerare è ancora di più il valore della nostra soglia anaerobica,

in quanto una 10 kilometri si corre quasi sempre in soglia. Anzi spesso il risultato di una 10k è quello che ci da il valore della soglia anaerobica. Per migliorare quindi sui 10 kilometri dovremo soprattutto allenarci ad aumentare tale soglia.

Il meccanismo alattacido

 Perché l’atleta abbia energia a disposizione nelle sue cellule deve prodursi ATP, questa magica sigla che indica una sostanza, l’adenosintrifosfato che è fondamentale per la prestazione (in una maratona un atleta produce decine di kg di ATP). I processi che portano alla produzione di ATP derivano dalla conversione dei macronutrienti (carboidrati, lipidi, proteine) e ogni processo arriva al suo scopo (la produzione di ATP) con una sua velocità, parametro di estrema importanza nella fisiologia della corsa.
Il meccanismo più rapido per produrre energia è quello del creatinfosfato (CP). Il CP può produrre energia in assenza di ossigeno quando il gruppo fosfato si stacca dalla creatina. Il processo è molto rapido e tipicamente viene usato dalle cellule quando si passa da una bassa a un’elevata richiesta energetica; esempio classico sono le gare di sprint.
Tale meccanismo può essere utile al runner di resistenza? Probabilmente, se è un amatore, no, ma è fondamentale conoscerne la fisiologia per non commettere gravi errori.
Il più grave è sicuramente l’assunzione di creatina. Infatti tale assunzione non ha nessuna logica in un atleta di resistenza perché l’eventuale guadagno energetico nello sprint finale è sicuramente compromesso dall’aumento di peso che la creatina (induce ritenzione idrica) comporta. Con un protocollo standard o con l’assunzione continua di integratori con creatina, il peso di un soggetto di 70 kg aumenta di circa un kg, il che significa una perdita secca di 2-3″/km.
La comprensione del meccanismo CP è però importante per comprendere la strategia di gara, soprattutto in pista. Vediamo un po’ di teoria, analizzando lo sprint di un centometrista.
Cosa accade in uno sprint? – Alla fine della gara l’atleta ha concentrazioni di avido lattico non minimali, pari a circa 13 mmoli/l (analoghe a quelle di una gara di5000 m). Ciò significa che il meccanismo lattacido classico si è attivato già pochi secondi dopo la partenza. Accanto a esso, a partire dall’istante zero, il meccanismo CP fornisce energia all’atleta utilizzando appunto i creatinfosfati. La ricerca fondamentale è quella di Hirvonen (1987) che mostrò come l’88% di fosfocreatina viene consumato nei primi 5,5″ e che per i velocisti migliori tale percentuale diventa molto prossima al 100%. Pertanto:

  • nei primi40 m si utilizzano sia il meccanismo CP che quello lattacido classico;
  • fra i 40 e i70 mil meccanismo lattacido si mantiene e quello CP diminuisce;
  • fra i 70 e i 100 m permane praticamente il solo meccanismo lattacido.

Questo spiega perché esistono degli specialisti dei 60 m(indoor) che nei 100 m non si esprimono altrettanto bene.
Come può un corridore di resistenza utilizzare queste conoscenze? Le ricadute sulla corsa di resistenza sono soprattutto due:
1) per migliorare le capacità lattacide non ha senso usare ripetute di 100 m o inferiori. Infatti per buona parte della prova si utilizza un meccanismo non lattacido.
2) Per scegliere la tattica di un eventuale sprint finale occorre partire dalle caratteristiche fisiologiche dell’atleta. Troppi sono i runner che lanciano dissennatamente uno sprint solo per liberarsi dell’avversario, senza nessuna razionalità. Nell’articolo sullo sprint verranno esaminati i fattori che indicano come eseguirlo correttamente.

                                                                         I 10×100 m

 Un allenamento HITT molto utile sono i 10×100 m con recupero 30″. A prescindere dai benefici che l’HITT può portare con sé, questo tipo di allenamento è sicuramente indicativo dello stato di forma del soggetto. Per cui eseguitelo periodicamente e confrontate i risultati.

A chi non è adatto – Tutti coloro che non ritengono prioritarie le distanze sotto la mezza maratona non dovrebbero eseguirlo, se non per curiosità. Infatti non ha nessuna valenza in chiave mezza maratona od oltre.
Per chi è fondamentale – Per tutti coloro che gareggiano spesso su distanze dai 5000 m in giù.
Per gli altri runner (tipicamente chi gareggia nelle classiche corse domenicali di circa 10 km) è comunque utile.
La teoria – A prescindere dalla lentezza del soggetto, 100 m sono una distanza tale che non dovrebbe produrre accumulo di acido lattico; 30″ poi sono il recupero minimo (è importante che sia “minimo”) perché il poco acido lattico prodotto venga smaltito o comunque non si giunga a concentrazioni elevate. In questa condizione il soggetto usa esclusivamente le sue doti di velocità (nemmeno di resistenza alla velocità). Poiché la velocità è dovuta all’efficienza meccanica del soggetto (soprattutto muscolare) e alle sue caratteristiche nervose, se si dà per scontato che quest’ultime varino molto lentamente con il tempo, è chiaro che i 10×100 danno un’idea dell’efficienza meccanica dell’atleta. Sono infatti controindicati per chi si dedica alle lunghe distanze perché la trasformazione di fibre (da veloci a lente) è un fattore che va a incidere sui risultati dell’allenamento e che quindi non consente di valutarlo correttamente. Per chi invece è in una situazione di “fibre stabili” (runner che gareggia fino a 10-12 km) è un ottimo test.
Se per esempio un atleta che vuole gareggiare sui 3000 m ottiene un risultato deludente (relativamente alla volta precedente), è abbastanza improbabile che riesca a migliorare il suo tempo, a meno che non abbia fatto passo da gigante nella parte aerobica della gara.
Come si esegue – L’allenamento si deve affrontare seriamente, non sottovalutandolo. Per cui è inutile inserirlo come “scarico”, magari dopo allenamenti molto pesanti (“tanto sono solo 100 m!”) Dopo un ottimo riscaldamento, stretching a piacere e 4-5 allunghi piuttosto veloci, si corrono tutti i 100 m con velocità uniforme (non in progressione), partendo subito forte. Il tempo dovrebbe risultare 1,5″-2″ più lento di un 100 m corso al massimo. Un runner che corre un 100 m massimale in 14″ dovrebbe correre i 10×100 in massimo 16″ ognuno. Se i primi risultano troppo lenti, o l’atleta è troppo guardingo o non si è scaldato bene; se gli ultimi risultano troppo lenti, vuol dire che l’atleta ha caratteristiche anaerobiche molto scadenti per cui accumula acido lattico senza riuscire a smaltirlo decentemente nei 30″ di pausa. Ovviamente ciò che conta ai fini del giudizio sull’allenamento è la media delle dieci prove.
Dopo i 10 x100 è possibile inserire 5-6 km di fondo lento.

                                                                    LO  STRETCHING

La  parola “stretching”  proviene dall’inglese “to stretch” e significa allungare come probabilmente è noto alla maggior parte di noi. Lo  stretching  è la una forma di esercizio fisico che privilegia la tensione muscolare e l’elasticità delle articolazioni. Tuttavia questa discipina non si identifica esclusivamente con l’allungamento e, poiché le teorie di allenamento muscolare  tra diversi metodi,possiamo dire che lo stretching  si  avvale di una sua tecnica ben definita. Gli esercizi di allungamento della ginnastica tradizionale sono costituiti ma movimenti dinamici e di molleggio che putroppo causano tavolta strappi e stiramenti. Lo stretching, al contrario è una disciplica statica, il che significa che le posizioni di allungamento vanno mantenute per un certo tempo. 

                                                           Gli  effetti dello  stretching 

*Esso costituisce un modo per irrobustire il fisico.

*Previene l’indebolimento dovuto all’età.

*Migliora l’elasticità delle articolazioni, cosa ugualmente importante per sportivi e non.

Come ogni altro tipo di attività fisica lo stretching stimola la secrezione del liquido sinoviale e permette quindi di “lubrificare” le articolazioni; in particolar modo  i movimenti lenti e graduali favoriscono la protezione ed il mantenimento delle superfici  cartilaginee. La mancanza di movimento, infatti, porta all’atrofia delle cartilagini e ne diminuisce l’elasticità: lo stretching impedisce questa involuzione  ed aiuta così a mantenere la forma fisica. Al contrario, alcuni tipi di sport come ad esempio la corsa,possono indebolire le cartilagini a causa di sforzi ripetuti e costanti. Lo stretching, dato il suo valore preventivo, può così costituire un tipo di allenamento preparatorio alla corsa.  Lo stretching, perché di sempice esecuzione e senza controindicazioni,consiste nell’assumere delle posizioni, nelle quali alcuni muscoli vengono messi in tensione. Tali posizioni vanno mantenute per 20-30 secondi senza mai sentire dolore.

                                                                 VARIAZIONI DI RITMO

Le variazioni di ritmo, negli allenamenti in pista sono un particolarissimo mezzo allenante da utilizzare, sia chiaro, non solo quando  si vuol rifinire al massimo la condizione, ma soprattutto  per cercare di avere nelle gare successive una marcia in più e fare così  fronte alle più diverse situazioni agonistiche. La metodica di questo particolare tipo di allenamento prevede l’effettuazione di prove, intervallate tra loro con periodi di recupeo.

                                                                 REGOLE D’ORO

                                                 SEMPRE IL GIUSTO EQUILIBRIO!!

*Nessuna paura se un giorno non ci si allena.

*Moderarsi dopo l’influenza.

*Cautela dopo un infortunio.

*Non strafare.

*Dimenticare il  cronometro.

*Occhio alla dieta.

*Controllare le scarpe.

 

DISTANZE  DI GARA E  MECCANISMI FIFIOLOGICI  SOLLECITATI

 

distanza      Meccanismo  fisilogicoAerobico      –     Anaerobico                                                                                                               Meccanismo fisiologico specifico      
800 m 55% 45% capacità anaerobica
1.500 m 65% 35% capacità anaerobica
5.000 m 85% 15% V02 MAX
10.000 m 95% 5% potenza aerobica
21,097 m 97% 3% potenza aerobica e capacità aerobica
42,195 m 99% 1% capacità aerobica e resistenza aerobica
100 km 100% resistenza aerobica

                                                ATTIVITA’ DI LUNGA DURATA

 La deplezione del glicogeno muscolare

Nelle attività di lunga durata la fatica può essere descritta riferendosi a quella sensazione molto comune nei maratoneti che intorno al 35° Km sperimentano, come si dice in gergo, di scontrarsi contro un muro (“hitting the wall “). In questo gruppo di sport, nel quale vanno considerate, per comodità, non solo le attività ad impegno prevalentemente aerobico, ma anche alcune prove delle attività ad impegno combinato (come i giochi di squadra), una delle cause d’insorgenza della fatica va individuata nell’esaurimento delle scorte di glicogeno muscolare. Tale sostanza, com’è noto, rappresenta la forma con la quale i carboidrati sono immagazzinati nell’organismo. Esso si trova in quantità limitata nei muscoli (1,5 -2 grammi per100 grammi di muscolo) e nel fegato (80 grammi) e ciò rende ragione del perché, in caso di sforzi prolungati, esso possa esaurirsi, mentre ciò non accade ai lipidi, i cui depositi sono virtualmente illimitati.Il glicogeno svolge un ruolo fondamentale nella produzione d’energia. Infatti, se si eccettuano gli sforzi brevissimi e d’elevatissima intensità, nei quali l’energia è fornita esclusivamente dal sistema dei fosfageni (vale a dire fosfocreatina ed ATP), il glicogeno rappresenta l’unico substrato utilizzabile durante gli sforzi di tipo lattacido (di media durata) ed il principale durante gli sforzi di lunga durata d’intensità superiore al 50% della massima potenza aerobica (in pratica quelli di lunga durata ma d’intensità medio-alta). Si può aggiungere, inoltre, che tanto più lo sforzo è intenso, tanto maggiore è la velocità con la quale esso è utilizzato.Le modalità di deplezione del glicogeno muscolare sono state descritte per attività richiedenti sforzi molto variabili: da leggeri (circa il 30% del VO2 max) a molto forti (fino al 120% del massimo consumo d’ossigeno). E’ interessante notare che per esercizi che richiedono meno del 60% o più del 90% della massima potenza aerobica non si assiste ad una significativa riduzione delle scorte di glicogeno. Nel primo caso, poiché l’intensità dello sforzo è molto modesta, il carburante utilizzato è rappresentato quasi esclusivamente dai grassi, con un modestissimo uso del glicogeno; l’interruzione dello sforzo per fatica acuta è causata, in questo caso, che molto si avvicina a quello che dovrebbe essere il target, per la maggior parte, del lavoro per il fitness ed il wellness, da altri motivi che descriveremo più avanti (ipoglicemia, iperammoniemia, alterazione dei neurotrasmettitori cerebrali, discomfort, dolore muscolare, aumento della temperatura corporea, disidratazione). Nel secondo caso, trattandosi di sforzi molto intensi (di tipo lattacido), il glicogeno rappresenta l’unico substrato utilizzabile per la produzione glicolitica di ATP e l’esaurimento interviene precocemente, impedendo quindi la deplezione dei depositi di glicogeno, essenzialmente per l’accumulo d’acido lattico nei tessuti (acidosi metabolica).Si assume, da quanto riportato in letteratura, che uno sforzo che sia protratto alla massima intensità sostenibile dal metabolismo aerobico per tempi prolungati (come la maratona, per l’appunto), il glicogeno muscolare può fornire l’energia per non più di due ore. Se si vuole resistere di più, come nella marcia per esempio, si deve utilizzare un livello più basso di rotazione del proprio motore aerobico.E’ altrettanto evidente che, se lo sforzo è costante e sottomassimale, l’entità della riduzione del glicogeno rispetto ai valori di riposo risulta strettamente correlata alla durata dello sforzo, ma certamente è tale da garantire attività di durata superiore alle due ore.Ciò, indubbiamente, ha valore nelle condizioni ottimali di immagazzinamento del glicogeno nei muscoli, che sono quelle tipiche di un atleta nel momento della gara di alto livello. Non si può certo affermare che tale sia con certezza la situazione del normale cittadino che pratichi attività fisica spesso rubando il tempo al riposo ed ai pasti, alimentandosi, quindi, in forma scorretta.Altre caratteristiche importanti, che confermano il ruolo fondamentale del glicogeno, consiste nel fatto che l’utilizzo del glicogeno muscolare avviene in maniera percentualmente differente nei diversi tipi di fibre muscolari (veloci o lente), in relazione all’intensità dell’esercizio. E’, infatti, noto che per esercizi di bassa intensità saranno preferenzialmente reclutate le fibre lente ossidative (poco affaticabili); all’aumentare dell’intensità dello sforzo sono reclutate dapprima le fibre veloci ossidativo-glicolitiche (mediamente affaticabili) e successivamente quelle veloci glicolitiche (molto affaticabili). E’ inoltre noto che la deplezione del glicogeno avverrà prevalentemente a carico dei distretti muscolari coinvolti in una determinata attività e che, per uno stesso muscolo, le modalità con le quali è svolto uno stesso tipo di esercizio (es. corsa) influenzano il consumo di questo substrato. L’ipotesi che la fatica acuta durante esercizi di lunga durata è legata, almeno in parte, alla deplezione di glicogeno muscolare è supportata dal fatto che, nei giorni che precedono una gara, una dieta ad alto contenuto di carboidrati che ne aumenti le riserve è in grado di prolungare la capacità di resistenza per una data intensità di lavoro, sia rispetto ad una dieta normale che, in modo ancora più evidente, rispetto ad una dieta iperlipidica. Come detto, il glicogeno gioca un ruolo fondamentale quando l’intensità dello sforzo è abbastanza sostenuta da bruciarlo ad una velocità significativa e la durata abbastanza lunga da richiederne un’elevata quantità. Né l’uno né l’altro, sono il caso delle attività in palestra o da campo, quali il fitness, l’aerobica, il jogging, ecc. Queste, infatti, sono (o dovrebbero essere) normalmente di intensità medio-bassa. In realtà si è verificato come almeno alcune lezioni di aerobica ad alto impatto siano svolte, per una parte, ad intensità elevata e tale da richiedere un preponderante contributo energetico dal glicogeno. Tuttavia, questi momenti molto intensi della lezione sono troppo brevi per intaccare i depositi di glicogeno, salvo nel caso, assai improbabile, di un soggetto digiuno, con alimentazione povera di glucidi e che fa più di una lezione di seguito.Quindi, se la fatica acuta nelle lezioni di aerobica non può essere fatta risalire ad una carenza di glicogeno muscolare, tuttavia i praticanti non devono trascurare le normali e corrette regole dell’alimentazione, ancor più importanti per chi pratica attività fisica.

Le perdite idrosaline

Come noto l’uomo è un animale a “sangue caldo” che regola costantemente la propria temperatura corporea interna sul valore di37 °C± 0,5. Questa condizione di equilibrio termico si basa sul costante pareggio tra produzione di calore all’interno dell’organismo dovuta ai processi metabolici e sua cessione all’esterno con i meccanismi della termoregolazione. Il mantenimento dell’equilibrio è condizione irrinunciabile al fine di garantire l’ottimale svolgimento di tutte le reazioni biologiche. L’energia prodotta dai muscoli è utilizzata solo in parte per compiere un lavoro (20-25% circa), mentre la quota restante è trasformata in calore; calore che, pertanto, deve essere ceduto all’esterno al fine di evitare dannose variazioni della temperatura corporea. Durante l’attività fisica si assiste, in seguito all’aumento dell’attività muscolare, ad un notevole incremento della produzione metabolica di calore, con aumento progressivo della temperatura corporea interna fino a valori che dipendono dall’intensità dell’esercizio e dalla capacità di dispersione. In queste condizioni, l’unico meccanismo in grado di permettere la cessione di calore è rappresentato dalla evaporazione del sudore, prodotto con il meccanismo della sudorazione.L’attivazione della sudorazione, pertanto, avviene particolarmente per sforzi di elevata intensità (notevole produzione endogena di calore) ed alla presenza di condizioni climatiche che rendono inefficaci gli altri meccanismi (temperatura elevata, irraggiamento solare diretto, assenza di ventilazione). L’evaporazione del sudore consiste nel passaggio di questo prodotto delle ghiandole sudoripare dallo stato liquido (il sudore per l’appunto) allo stato gassoso (il vapore acqueo). E’ quindi importante ricordare che la sudorazione per se non determina nessuna perdita di calore se non avviene, contestualmente l’evaporazione.Ciò spiega perché, durante uno sforzo di elevata intensità, particolarmente se svolto in condizioni climatiche sfavorevoli (come l’umidità che riduce la quantità di sudore evaporato, costringendo l’organismo a sudare sempre di più), si possono raggiungere, in condizioni estreme, valori di perdita di sudore anche di 2-3 litri/oa. Nelle attività sportive di lunga durata, come la maratona, la marcia o le prove di ciclismo su strada, si può pertanto determinare una notevole perdita di acqua, che può raggiungere anche i 5-6 litri. Le attività di palestra, pur non potendosi comparare per durata ed intensità a quelle sopra citate, si svolgono spesso in condizioni climatiche sfavorevoli per assenza di un adeguata ventilazione e condizionamento dell’aria e per la frequente errata abitudine dei praticanti di indossare un abbigliamento che impedisce o rende difficoltosa l’evaporazione del sudore (come le tute di plastica, che sono spesso reclamizzate, falsamente, come uno strumento di dimagramento).Si è potuto verificare, per esempio, in una serie di lezioni di aerobica ad alto impatto una perdita di acqua corporea fino a1,3 litri. La perdita di acqua con il sudore è accompagnata da quella di elettroliti. Il sudore, infatti, pur se ipotonico rispetto agli altri liquidi corporei (cioè meno concentrato), contiene quantità variabili di sali minerali, in particolare sodio (Na+), cloro (Cl-), potassio (K+) e magnesio (Mg++). Durante sforzi prolungati, o comunque in caso di sudorazioni elevate, si possono quindi verificare perdite idrosaline notevoli. Queste, ancor prima di indurre eventi patologici gravi per cedimento acuto delle capacità termoregolative (colpo di calore per perdite di fluidi pari al 7-10% del peso corporeo del soggetto), sono responsabili di una consistente riduzione della capacità di prestazione atletica rappresentando, in questo gruppo di sport, uno dei fattori dell’insorgenza della fatica acuta. La diminuzione delle capacità prestative avviene da una perdita di liquidi pari al 2%, raggiungendo un peggioramento della performance del 20-30% per perdite pari al 4-5% del peso corporeo del soggetto. Le cause dell’insorgenza di fatica acuta per deficit idrosalino vanno individuate essenzialmente in due fattori:1) la disidratazione , che influisce negativamente sulla dinamica cardiocircolatoria per una riduzione della portata cardiaca (quantità di sangue che il cuore spinge verso i tessuti in un minuto) e con essa della quantità di sangue diretta verso la muscolatura impegnata nel lavoro. Tale situazione va ad aggiungersi, sommandosi, al fatto che, per far fronte alle necessità della termoregolazione, una quota già rilevante della portata cardiaca è dirottata verso la cute, piuttosto che verso i muscoli;2) la perdita di elettroliti , in particolare del K+ e del Mg++, che altera l’eccitabilità delle membrane cellulari, cioè la capacità di trasmettere lo stimolo nervoso, provocando un deficit di attivazione neuromuscolare. La perdita di K+, infatti, essendo essenzialmente a carico della quota di elettrolita che si trova nel sangue, quindi fuori dalle cellule, fa sì che quello presente all’interno delle cellule muscolari attive sia richiamato nel sangue per ristabilire un equilibrio. Il risultato finale è che le cellule muscolari vanno incontro ad una ridotta capacità di contrarsi contribuendo all’insorgenza della fatica locale con gli stessi meccanismi già ampiamente descritti. La perdita di Mg++ aggrava il quadro, in quanto questo elettrolita è essenziale per il corretto funzionamento delle pompe di membrana Na+-K+, che sono ATP-dipendenti. Ricordiamo che queste pompe hanno il compito di riportare il K+ all’interno delle cellule.

L’ipoglicemia

 L’ipoglicemia rappresenta un’altra causa di fatica acuta in questo gruppo di sport.Il glucosio rappresenta l’unico carburante che può essere utilizzato dal cervello. L’omeostasi glicemica è garantita dal glicogeno epatico, le cui riserve sono intaccate successivamente a quelle del glicogeno muscolare. La caduta della glicemia è un vero pericolo nella fase terminale di un esercizio prolungato ed anche quando si pratica un’attività fisica senza essersi opportunamente alimentati; essa, infatti, interferisce negativamente con il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale (SNC).Per tale motivo la somministrazione di carboidrati, soprattutto nella fase terminale della prestazione, contribuisce a mantenere inalterate la concentrazione plasmatica di glucosio aumentando la resistenza nelle gare di durata. 

 La produzione di ammoniaca

Nella fase terminale di un’attività di durata, condotta fino all’esaurimento, la riduzione delle scorte di glicogeno è responsabile della incapacità dei processi di resintesi dell’ATP di “tener dietro” a quelli di scissione dello stesso. Ciò determina una condizione transitoria di deficit energetico con aumento dell’ADP e dell’AMP nei siti della contrazione muscolare. L’AMP non può rimanere come tale nell’organismo ed è quindi metabolizzato. Questo processo porta alla formazione di ammoniaca (NH3). L’ammoniaca è tossica per il SNC e la sua formazione in eccesso causa l’insorgenza di fatica con un meccanismo di tipo centrale per turbe nell’equilibrio dei neuro-trasmettitori.Considerando i meccanismi descritti è evidente che in un’attività di durata, condotta fino all’esaurimento, la formazione di NH3 è inversamente correlata con il livello di glicogeno muscolare. Ciò è testimoniato dal fatto che uno sforzo compiuto partendo da bassi livelli di glicogeno comporta una più accentuata produzione di NH3 ed un più rapido sviluppo della fatica, mentre, quando si somministrano carboidrati, la produzione di NH3 si riduce e la capacità di resistenza aumenta.

La teoria aminoacida

Nel caso degli sforzi prolungati è stato di recente introdotto e suggerito un ruolo importante della cosiddetta fatica “centrale”, alla quale si è fatto cenno precedentemente nell’illustrazione generale del concetto di fatica acuta nell’introduzione. Senza voler entrare nel merito di problematiche di tipo psicologico, che peraltro secondo alcuni potrebbero svolgere un ruolo nel determinare la fatica “centrale”, si intende qui far riferimento ad un ipotizzato aumento del rapporto aminoacidi aromatici/aminoacidi ramificati (sigla inglese, BCAA).Gli aminoacidi, come noto, sono i costituenti elementari delle proteine e si dividono, per l’appunto, in aromatici e ramificati. Questi ultimi sono costituti da tre aminoacidi: la valina, l’isoleucina e la leucina. Contrariamente a quanto si riteneva in passato, oggi si afferma che durante un’attività di durata, oltre al glicogeno ed ai grassi, sono utilizzati come substrati energetici anche gli aminoacidi ed in particolare quelli ramificati. Ciò determina uno squilibrio tra la quantità di aminoacidi aromatici e di quelli ramificati, con un aumento del loro rapporto. Di specifico interesse per il meccanismo centrale della fatica sarebbe, in realtà, solo uno degli aminoacidi aromatici e cioè il triptofano, o meglio ancora quella quota di questo aminoacido che si trova libero nel sangue (triptofano libero). Poiché il Triptofano è competitivo con i BCAA per il passaggio attraverso la barriera ematoencefalica (ciò significa che il triptofano può entrare nel cervello solo se nel sangue non ci sono gli aminoacidi ramificati che usano le stesse porte di ingresso) la conseguenza finale è un aumento della concentrazione di Triptofano nel cervello.Tale aumento è favorito anche da un altro meccanismo. Negli sforzi di bassa intensità od alla fine di quelli più intensi, quando le scorte di glicogeno si sono ridotte e l’intensità cala, l’organismo usa grandi quantità di grassi. Questi si riversano nel sangue, per raggiungere i muscoli, partendo dai depositi sottocutanei (i trigliceridi) sotto la forma di acidi grassi liberi (sigla inglese, FFA). I FFA, tuttavia, non viaggiano liberi nel sangue, ma sono veicolati da una proteina, l’albumina, che è la stessa che trasporta normalmente il triptofano. L’esigenza primaria di portare energia ai muscoli fa sì che l’albumina lasci libero il triptofano e “carichi” i FFA. Ciò provoca un incremento della concentrazione del Triptofano libero nel torrente circolatorio che favorisce il passaggio di questo aminoacido nel cervello. Nel cervello il Triptofano è convertito nel neurotrasmettitore serotonina (5-HT), che è uno dei mediatori del sonno. L’aumento della serotonina in varie aree cerebrali determina la caduta di una serie di funzioni: 1) direttamente, con perdita di motivazione, sensazione di stanchezza, riduzione delle capacità coordinative2) indirettamente, tramite inibizione del sistema dopaminergico (aumento del rapporto serotonina/dopamina) che è responsabile del mantenimento dei normali livelli di attivazione nervosa e di adeguate capacità motorie.Anche in questo caso la somministrazione di carboidrati durante lo sforzo è in grado di contrastare l’insorgenza della fatica in quanto riduce l’utilizzazione energetica dei grassi e degli aminoacidi ramificati, quindi i presupposti di partenza dell’ingresso di elevate quantità di Triptofano nel cervello. Ciò è confermato da studi sperimentali in doppio cieco. Per correttezza scientifica, va tuttavia aggiunto che molti ancora sono i dubbi sulla validità di questa teoria che non sembrerebbe avere ancora un totale riscontro sperimentale, almeno per ciò che concerne il parametro diretto rappresentato dalla resistenza alla fatica. Al contrario, esistono dimostrazioni scientifiche del peggioramento delle capacità coordinative e neuromotorie nei soggetti con alterato rapporto triptofano libero/aminoacidi ramificati..

La fatica acuta nelle attività ad impegno metabolico alternato

Per la natura stessa di questo gruppo di attività, che comprende i giochi di squadra (es. calcio, pallavolo, pallamano, pallacanestro, rugby) e sport come il tennis, dove la caratteristica fisiologica fondamentale è data dall’alternanza di fasi di gioco ad impegno metabolico di tipo prevalentemente anaerobico (le fasi più intense) con momenti in cui prevale un impegno metabolico di tipo aerobico (tutte le fasi giocate a ritmo blando e le pause), la fatica, quando si presenta riconosce diverse possibili cause.In particolare, da un punto di vista organico, si possono identificare due aspetti fondamentali di questa particolare forma di resistenza alla fatica acuta:
1) un aspetto più propriamente metabolico, legato alla capacità dei diversi sistemi di assicurare una veloce e continua resintesi della fosfocreatina, un adeguato smaltimento del lattato prodotto, nonché un continuo rifornimento energetico per tutta la durata della prestazione;
2) un aspetto più propriamente neuromuscolare, riconducibile ai fenomeni di fatica riguardanti la trasmissione dell’impulso nervoso e la capacità della fibra muscolare di rispondere allo stimolo (es. squilibrio elettrolitico intercompartimentale per disidratazione in eventi agonistici di durata prolungata, particolarmente se svolti in condizioni climatiche avverse).

La fatica acuta nelle attività isometriche 

Come abbiamo sottolineato nella parte introduttiva, tanto più elevata è l’intensità dello sforzo tanto minore è la capacità di resistenza e più precoce l’insorgenza della fatica. Peraltro la correlazione tra i due parametri, che è inversa e non lineare, appare spostata a sinistra nel caso dell’esercizio isometrico. Ciò significa che per un’identica richiesta energetica, espressa come velocità di utilizzazione dell’ATP, la resistenza è minore nel caso di una contrazione isometrica rispetto all’esercizio dinamico. Nello sforzo isometrico il fattore che condiziona in maniera determinante la resistenza può essere individuato nell’entità del flusso ematico che condiziona l’apporto di ossigeno ai tessuti, quindi le capacità del metabolismo ossidativo. Quando l’intensità dell’esercizio isometrico non supera il 20% della massima capacità di contrazione volontaria (MCV), la resistenza è praticamente infinita essendo adeguato l’apporto di ossigeno ai muscoli che lavorano. Da intensità prossime al 50% il flusso si riduce praticamente a zero e progressivamente più precoce risulta l’insorgenza della fatica. La resistenza è quasi nulla (pochi secondi) per contrazioni isometriche massimali.

Le cause della fatica nelle attività sportive dove è presente una componente isometrica (es. arrampicata sportiva, discesa libera nello sci alpino) vanno pertanto individuate negli stessi meccanismi descritti nel numero precedente (riduzione delle scorte di Fosfocreatina ed aumento del fosforo, all’inizio dello sforzo, e riduzione del calcio, nelle fasi finali),  ma con una situazione aggravata per il fatto che la diminuzione o l’interruzione totale del flusso ematico riduce o interrompe, da un lato l’apporto di ossigeno e di nutrienti, dall’altro la rimozione dei cataboliti.In tal senso un importante aspetto da prendere in considerazione, per quanto riguarda la capacità di resistenza, sono i periodi di intervallo eventualmente presenti tra una contrazione e l’altra; periodi che, garantendo il flusso ematico, facilitano i meccanismi di recupero.  

GINNASTICA E BODY BUILDING

Nella società attuale, una persona in buona forma fisica e di gradevole aspetto, si sente maggiormente a proprio agio nella vita sociale e negli affetti ed ha un miglior impatto nel lavoro. Un tipo di attività fisica molto efficace è la ginnastica per la specificità dei risultati che si possono ottenere.

INTRODUZIONE ALLA GINNASTICA

Il termine Ginnastica si presta a molteplici interpretazioni e in molti casi rimanda ad una idea di una attività improntata sulla fisicità, ovvero sulla concezione che si tratti di un complesso di esercizi che metta in moto il nostro corpo fatto di ossa, tendini e muscoli. Fare ginnastica significa invece fare movimento, cioè mettere in azione l’ organismo; tale concetto non implica solo movimento fisico, ma anche educazione della mente.

GINNASTICA AEROBICA

Il tipo di attività fisica dove sono implicati maggiormente il cuore e il suo apparato è quella di tipo “aerobico”. Gli sport  aerobici sono quelli definiti di resistenza o endurance , dove l’ossigeno diventa il necessario carburante energetico.

CONDIZIONAMENTO MUSCOLARE

Il condizionamento muscolare è la capacità di allenare i propri muscoli ad un grado di contrazione diversa da quella normale, ottenendo una migliore risposta neuromuscolare (tono), una migliore resistenza (endurance) ed un miglior stato nutrizionale (trofismo).

 IL METODO PILATES

Sviluppato nel 1920 dal famoso trainer Joseph Pilates, il Metodo Pilates è un sistema di allenamento focalizzato sul miglioramento della fluidità dei movimenti, della forza in tutto il corpo, senza creare un eccesso di massa muscolare.

 BODY BUILDING: esercizi base (home fitness)

Un’adeguata tonicità muscolare conferisce un miglior aspetto estetico e migliora il metabolismo muscolare.

 L’ALLENAMENTO A CIRCUITO – IL CIRCUIT TRANING

L’allenamento a circuito (“circuit training”) consente di migliorare contemporaneamente la forza, la potenza e la resistenza a livello muscolare, ma anche la funzionalità dell’apparato cardio-respiratorio. Esso consiste nel passare rapidamente da una ‘stazione’ all’altra del programma, ognuna delle quali consiste nell’esecuzione di un determinato esercizio per un tempo o per un numero di ripetizioni prefissato.

                                                        Benefici del nuoto

E’ scientificamente provato che nuotare faccia bene alla salute, alla longevità  ed al benessere in generale. Con l’allenamento, si ha in genere un aumento della massa magra ed una riduzione di quella grassa. Poichè il muscolo a parità  di volume del pesa più del grasso, si potrà  nuotare con l’allenamento natatorio, un incremento di peso pur risultando più snelli. Limitare i benefici dell’allenamento del nuoto ai soli miglioramenti estetici ne sminuisce il valore. I benefici del nuoto, infatti, si fanno sentire prevalentemente sullo sviluppo dell’impalcatura ossea, che sarà  armonioso e completo; la gabbia toracica tende a ingrandirsi; si correggono le deviazioni della colonna vertebrale (come nella scoliosi) e contemporaneamente non si sovraccaricano le articolazioni perchè viene praticato in un ambiente in cui è virtualmente assente la forza di gravità .

Il nuoto stimola particolarmente i sistemi neuro-muscolare e cardio-circolatorio. Migliora la coordinazione motoria e respiratoria e riduce le spasticità . Anche l’aspetto psico-sociale del soggetto praticante ne trae beneficio in quanto si ha un incremento delle capacità  di apprendimento, di comprensione e di concentrazione che migliorano l’aspetto motivazionale e un ritrovamento della fiducia in se stesso che incrementa le proprie potenzialità  nel contesto relazionale. Nelle donne il nuoto permette di ottenere una silhouette armoniosa e ben proporzionata favorendo il dimagrimento e il rassodamento musculare combattendo cosà in modo efficacemente gli inestetismi della cellulite. Contro la cellulite il nuoto e’ lo sport ottimale per eccelenza  perchè coinvolge tutti i muscoli, aiuta la circolazione ed evita sovraccarico allo scheletro.

 

STAR BENE CON L’ATLETICA

Testo del tecnico specialista Piero Incalza

Ottantamila tesserati nel 2010. Di questi, 34.000 hanno concluso una maratona. Sono numeri importanti ed in costante crescita quelli che riguardano gli appassionati che si avvicinano e aderiscono all’atletica leggera con finalità salutistiche e amatoriali. Trenta, quaranta minuti di esercizio fisico continuo per quattro volte a settimana è quello che, solitamente, viene suggerito per mantenere una buona condizione funzionale. Questa semplice indicazione, se pur condivisibile nella sua essenza, appare estremamente generica e poco utile da chi si vuole avvicinare alle attività che l’atletica propone.

Gli obiettivi e le motivazioni alla pratica sportiva possono essere diretti verso la ricerca della massima prestazione oppure del benessere fisico e psicologico (fitness). L’una non esclude l’altro, anzi: lo stato di salute costituisce il presupposto fondamentale per perseguire e raggiungere i migliori risultati sportivi. E’ altrettanto risaputo che quando si sottoporre l’organismo ad impegni massimali, aumentano i fattori di rischio e, quindi, le “controindicazioni” per chi si improvvisa atleta.  

L’attività sportiva amatoriale, per definizione, deve tendere alla salute dell’uomo, al suo benessere generale, al piacere intimo derivante dal profondo bisogno di muoversi. In breve, a migliorare la qualità della vita.    

Il confine tra gli effetti positivi e i risvolti negativi dell’attività fisica e sportiva è molto labile. Basta poco per sconfinare in ambiti per i quali non si è pronti e preparati, spesso fuorviati da una cattiva lettura delle percezioni/sensazioni che l’organismo fornisce. Per tali ragioni è necessario che anche i praticanti delle attività sportive amatoriali siano istradati e consigliati da personale esperto, in grado di proporre, in modo individualizzato, le forme più appropriate di movimento.

Anche una corretta attività fisica procura, in ogni caso, sollecitazioni gravose all’organismo. Un’attività scorretta può indurre alterazioni importanti, anche irreversibili. A questo punto sorge il dubbio che il lavoro fisico sia fonte di disagio per l’organismo e che non si comprendano i benefici. In realtà è proprio così: l’attività fisica usura l’organismo! In assoluto, tale affermazione sarebbe del tutto vera se gli esseri viventi non possedessero, in varia misura, un’importante proprietà: la capacità di adattamento. A ben riflettere, non si è mai completamente fermi. “Essere vivi” presuppone che tutti gli organi siano in funzione, ossia “in movimento”. Il mantenimento della condizione di funzionalità è assicurato dal continuo rifornimento di energia e dalla rigenerazione dei tessuti danneggiati. Quest’ultima funzione è massima nei momenti di pausa lavorativa (riposo) ed è stimolata (accelerata) dagli stress che investono l’organismo.

In pratica, il miglior modo per mantenere e per migliorare l’efficienza del sistema è “danneggiarlo”. Ma non troppo! La fisiologia (e la teoria dell’allenamento sportivo) fonda i suoi insegnamenti sul principio secondo il quale “l’uso sviluppa l’organo” …. durante il riposo!

DURANTE L’ATTIVITA’ FISICA SI HA:

–          Consumo di energia
–          Dolori muscolari
–          Affanno (dispnea)
–          Traumi osteo-articolari
–          Stress cardiaco
–          Produzione di tossine
–          Riduzione progressiva delle capacità di movimento
–          Sofferenza (stress) di tutti gli organi interni (fegato, rene, milza, …)
–          Stati di ansia (agonismo)

DURANTE IL RECUPERO I TESSUTI E (QUINDI) GLI ORGANI:
–          Si rigenerano
–          Guariscono
–          Si riproducono
–          Si riparano
–          Si sviluppano

 

IN DEFINITIVA: L’ORGANISMO SI ADATTA

QUANDO L’ATTIVITA’ FISICA E’ BENE ORGANIZZATA, NEL RISPETTO DELL’ALTERNANZA TRA I TEMPI DI LAVORO E  QUELLI DI RIPOSO, SI DETERMINA IL POTENZIAMENTO DI TUTTE LE FUNZIONI ORGANICHE, L’INCREMENTO DELLE ABILITA’ DI MOVIMENTO ED IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA’ DELLA VITA

 Le necessità fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo sono regolate dal piacere che le stesse procurano. La fame, la sete, la respirazione, la riproduzione …. attendono a tale principio. La sopravvivenza è, spesso, legata alla capacità di muoversi abilmente. Per tale ragione si è consolidato, nel genere animale, il “piacere” nel muoversi. Il gioco rappresenta la fase propedeutica all’apprendimento, allo sviluppo intellettivo, all’interazione col mondo ed è prerogativa dei “cuccioli”, ma anche gli adulti continuano a divertirsi giocando. La motivazione principale che spinge alla pratica sportiva è il piacere che essa provoca, anche negli atleti di vertice o professionisti. In questi, quando il piacere e la passione si attenuano, sostituiti da altri interessi (economici e/o di immagine) anche i risultati si ridimensionano ed inizia il declino.

L’obiettivo è di assecondare la pulsione al movimento, capire gli interessi e le attitudini individuali, adeguare le attività alle caratteristiche del praticante. Si avrà successo se il piacere derivante dal riuscire a fare (perseguire un fine) è maggiore del disagio procurato dalla “fatica” dell’attività fisica.

In linea di principio, le attività atletiche organizzate e continuative hanno un ruolo importante nella strategia preventiva e curativa di diversi disturbi del nostro tempo. L’introduzione delle macchine ha alleggerito l’uomo di molte incombenze ma, al tempo stesso, gli ha sottratto innumerevoli occasioni per svolgere attività fisica spontanea e/o lavorativa, riducendo sensibilmente sia le abilità gestuali sia l’efficienza delle grandi funzioni organiche. Per questa ragione, così come già osservato, eserciti di sedentari scoprono (dopo i quarant’anni) i benefici del movimento e, il più delle volte, si gettano a capofitto nello sport preferito, alla ricerca di recuperare il tempo perduto.  

E’ il tipico errore del “principiante adulto”: riaffiorano vecchi ricordi dell’infanzia, quando correre e saltare era più facile che leggere e scrivere. Si vorrebbe riprendere da lì, come se trenta o quarant’anni si potessero saltare a piè pari. In questi casi la prudenza non è mai troppa; il principio della gradualità deve sovrastare qualsiasi altro intento affinché non si sia costretti a fermarsi prima ancora di cominciare.

Si ribadisce, quindi, che l’attività da praticare deve, innanzi tutto, divertire. Entusiasmo, emozione e benessere sono i requisiti che assicurano continuità e lunga vita all’impegno assunto.

Una volta soddisfatto questo principio, sarà opportuno considerare che gli sforzi di medio impegno (riferito ad un valore strettamente individuale) siano da preferire a quelli che sollecitano il sistema al massimo delle sue possibilità. Diversi studi confermano che la “macchina umana” funziona bene se i processi di scambio tra ossigeno (O2) e anidride carbonica (CO2) si svolgono al meglio (respirazione). Tra la capacità di consumare ossigeno (VO2) ed il rischio di contrarre gravi malattie (sino alla morte) vi è un’alta correlazione. Le specialità dell’atletica continue a media intensità, come la marcia e la corsa prolungata, consentono di mantenere efficienti e di stimolare opportunamente i sistemi aerobici (consumo di O2) e prevenire i disturbi a carico dell’apparato cardio-respiratorio.

Atletica, Alimentazione, Ambiente sono tre “A” che possono incidere in misura importante sul nostro modello di vita.

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